Contratti pirata. Non solo salario minimo: bisogna riformare anche la contrattazione
Associazione Comma2 – Lavoro è Dignità
Nel discorso in Senato dello scorso 26 ottobre, il Presidente del Consiglio ha (definitivamente?) liquidato il tema del salario minimo legale, derubricandolo nientemeno che a “specchietto per le allodole”; e spiegato che il contrasto alla povertà salariale deve invece passare (anche) dall’estensione della contrattazione collettiva, senza peraltro determinare criteri o limiti oggettivi sulla base dei quali ciò dovrebbe avvenire.
In linea con tale proposito, il 30 novembre la Camera dei Deputati ha approvato la mozione di maggioranza che dice no all’introduzione del salario minimo.
In particolare, il testo approvato dovrebbe impegnare il Governo a “raggiungere l'obiettivo della tutela dei diritti dei lavoratori attraverso una serie di iniziative, a partire dall'attivazione di percorsi interlocutori tra le parti non coinvolte nella contrattazione collettiva, per monitorare e comprendere motivi e cause della non applicazione”.
La prima osservazione da cui non ci si può esimere, è che dietro un’apparente infatuazione verso il pluralismo sindacale, il Governo mostra in realtà di ignorare candidamente (e più o meno colpevolmente) numeri e dati che sconfessano in partenza l’efficacia di tale ricetta.
Anzitutto perché la produzione di contratti collettivi, già oggi, è tutt’altro che esigua, come ben dimostra il 14° report periodico del CNEL, che riferisce di quasi 1000 contratti collettivi depositati, metà dei quali scaduti da anni.