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Contratti “pirata” all’attacco dei diritti dei riders

di Bartolo Mancuso

Dovevano essere gli apripista di una nuova stagione di lavoretti, fatti per hobby, dove il lavoratore è  autonomo, arrotonda felice, non è costretto ad una scrivania, anzi fa un po' di sport.  

Ma qualcosa è andato storto nel racconto studiato a tavolino.  I lavoratori hanno protestato, l’opinione pubblica ha aperto gli occhi e i riders sono diventati il simbolo dei nuovi lavori senza tutele e senza sicurezza.

Questa felice alchimia ha contribuito all’attivazione del sistema giudiziario.

Così, la Corte di Cassazione (Sentenza 1663 del 24 gennaio 2020) ha stabilito che  ai riders si applica l’ art. 2, d. lgs 15 giugno 2015, n. 81 che estende le tutele del lavoro subordinato (retribuzione minima, malattia, infortuni ecc..) alle collaborazioni che sono organizzate dal datore di lavoro.  

E’ ormai chiaro che la piattaforma digitale non è un moderno video gioco ma lo strumento di direzione dei lavoratori.

Il novo corso è arrivato fino al Governo Conte 1, che ha varato il primo intervento che dopo molti anni ha scontentato le imprese, il  Decreto Dignità (D. L., 3 settembre 2019, n. 101 convertito con modifiche dalla legge 2 novembre 2019, n. 128) che, da una parte,  ha ulteriormente rafforzato art. 2, d.lgs 15 giugno 2015, n. 81, dall’altra, ha previsto delle nuove  tutele per i lavoratori delle piattaforme anche laddove il rapporto di lavoro risulti autonomo (artt. 47 bis e ss d.lgs 15 giugno 2015, n. 81).

Ma una parte delle imprese è corsa ai ripari, con la stipulazione di contratti collettivi “pirata” che mirano a impedire che i lavoratori delle piattaforme siano considerati subordinati, facendo leva sulla funzione derogatoria che  l’art. 2 d.lgs 81/2015 affida “agli  accordi  collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali  comparativamente  piu' rappresentative sul piano nazionale”.

Ma i contratti si fanno in due, e la prima a prestarsi a questa operazione è stata l’ UGL, pronta a sottoscrivere che i Riders sono lavoratori autonomi.

Ancora più grave il caso degli Shopper, i nuovi riders che consegnano la spesa. Qui, dopo il rifiuto dei sindacati confederali di stipulare un accordo, in pochi giorni è sorto un nuovo sindacato degli shopper che, senza neanche un secondo di sciopero, ha chiuso un accordo. Anche qui, ovviamente, si esclude la natura subordinata dei rapporti di lavoro.

I Tribunali hanno stigmatizzato queste condotte (es. Tribunale di Bologna in data 30 giugno 2021, Tribunale di Milano con il Decreto 8609.2021), ma il problema andrebbe risolto alla radice.

In generale, occorre una legge sulla rappresentanza sindacale, che risolva a monte il tentativo di singole sigle nazionali, prive di adeguato consenso e che non hanno svolto un effettiva azione vertenziale,  di sottoscrivere accordi con l’obiettivo di applicarli alla generalità dei lavoratori.

Nello specifico, un tempo era chiaro che i contratti collettivi avevano il compito di strappare migliori condizioni di lavoro, ma oggi, troppo spesso sono il viatico per misure peggiorative. E allora, sarebbe giusto abrogare la disposizione che consente ad accordi sindacali (ovviamente diversi da quelli accennati) di negare l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato ai lavoratori delle piattaforme.

Un scelta chiara, che guarderebbe al futuro con la lente dei diritti.

 

 

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