Il caporalato ieri e oggi
di Luigi Mariucci
Dopo la morte di 16 lavoratori africani nelle campagne pugliesi, finiti schiacciati come topi in miserabili furgoncini, mi è tornato in mente il mio primo lavoro di ricerca sul tema del collocamento agricolo. Si trattava di svolgere una ricerca sul campo, nel Salento, a cui collegare poi una analisi tecnico-giuridica della legge n.83 del 1970 emanata, assieme agli artt.33-34 dello Statuto dei lavoratori, a seguito della uccisione di due braccianti ad Avola in occasione di una manifestazione di protesta appunto contro il capolarato. La ricerca era collegata all’Istituto di diritto del lavoro della Università di Bari diretto da Gino Giugni. Cominciai recandomi tra le 8 e le 9 del mattino negli uffici di collocamento, allora diramazioni periferiche del Ministero del lavoro, per un colloquio coi funzionari. Ottenevo informazioni scarse e inadeguate, e presto mi resi conto che per capire qualcosa di più di come funzionava davvero il collocamento agricolo dovevo andare non negli uffici di collocamento ma tra le 4 e le 5 di mattina nelle piazze dei paesi.
Lì si svolgeva il collocamento reale: i braccianti stavano ammassati ai lati delle piazze, venivano reclutati a gruppi dai “caporali”, caricati su camioncini e portati a lavorare. E’ la stessa scena che si svolge oggi. Con una variante: in quelle piazze non ci sono quasi più italiani, ma persone di colore, per lo più africani. Sembra che gli italiani, in molti luoghi, si facciano accreditare finte giornate di lavoro per usufruire della indennità di disoccupazione, ma che i braccianti veri siano invece lavoratori extra-comunitari. Con qualche eccezione, come accadde anni fa con quella lavoratrice morta sui campi per l’eccessiva fatica. Si chiamava Paola Clemente: aveva 49 anni e sembra che percepisse 30 euro per 12 ore di lavoro. La vicenda fece molto scalpore, proprio perché si trattava di una lavoratrice italiana. Da lì venne la spinta ad approvare una ennesima legge contro il caporalato, la l. n. 199 del 2016.