Il licenziamento discriminatorio del disabile per superamento del comporto: la Suprema Corte consolida il suo orientamento (Cass. 21/12/23 n. 35747)
di Michelangelo Salvagni
Corte di Cassazione 21 dicembre 2023, n. 35747: il licenziamento discriminatorio del disabile per superamento del comporto.
- Licenziamento del disabile per superamento del comporto e discriminazione indiretta: i termini della questione.
Alla luce dei recenti orientamenti della Corte di Cassazione (cfr. Cass. 31 marzo 2023, n. 9095 e Cass. 21 dicembre 2023, n. 35747), appare consolidarsi l’indirizzo sulla nullità del licenziamento del lavoratore disabile (o portatore di handicap), per discriminazione indiretta, in ragione del superamento del periodo di comporto causato dal mancato scomputo delle assenze collegate alle proprie patologie. Il tema d’indagine riguarda le seguenti principali direttrici:
a) il possibile allargamento della nozione di “handicap”, di derivazione comunitaria, come mutuata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, anche per patologie - a carattere duraturo e tali da ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nell’adempimento della propria prestazione - che non rientrano in quelle tabellari o “validate” dagli organi competenti che riconoscono i casi di invalidità ex l. 68/99 o di disabilità ex l.104/92;
b) la nullità delle clausole dei contratti collettivi, per discriminazione indiretta a norma del d.lgs. 216/2003 (e della direttiva 2000/78/CE), allorchè esse non prevedano lo scomputo delle malattie dovute a disabilita o handicap;
c) l’obbligo di accomodamenti ragionevoli che il datore deve adottare al fine della salvaguardia del posto di lavoro del disabile;
d) la ripartizione degli oneri probatori, anche con riferimento alla circostanza che, secondo la Suprema Corte, la discriminazione opera oggettivamente.
- La nozione eurounitaria di handicap: la Direttiva 2000/78/CE, gli orientamenti della Corte di Giustizia e della Corte di Cassazione.
La Corte di Giustizia è stata investita più volte della questione se possa costituire o meno una discriminazione indiretta il licenziamento per superamento del periodo di comporto in ragione di assenze per gravi patologie. In merito, la giurisprudenza eurounitaria, chiamata a pronunciarsi sulle differenze esistenti, ai fini della tutele, tra malattia e disabilità, ha affermato che la nozione di handicap, di cui alla Direttiva 2000/78, deve essere interpretata nel senso che essa include “una condizione patologica causata da una malattia diagnosticata come curabile o incurabile, qualora tale malattia comporti una limitazione, risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche che, in interazione con barriere di diversa natura, possa ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con altri lavoratori e tale limitazione sia di lunga durata” (in tal senso, C. giust., 11 aprile 2013, HK Danmark, C-335/2011 e C-337/2011, punto 47, nonché C. giust. 18 gennaio 2018, Ruiz Conejero, C-270/16. Sulla stessa falsariga, in un’accezione allargata di disabilità, si veda anche Corte giust. 18 dicembre 2014, FOA (Fag og Arbejde), C-354/2013, punto 53, secondo cui anche l’obesità rientra nella nozione di handicap, ai sensi della Direttiva 2000/78, allorché sia di ostacolo alla partecipazione del lavoratore alla vita professionale).
A conferma di tale obbligo di “protezione rafforzata” del portatore di handicap, proprio in ragione del fattore rischio a cui quest’ultimo è soggetto, si segnala anche Corte giust., 11 aprile 2013, HK, Dammark, C-335/11 e C-337/11, punto 91, secondo cui “non si deve (…) ignorare il rischio cui sono soggette le persone disabili, le quali, in generale, incontrano maggiori difficoltà rispetto ai lavoratori non disabili a reinserirsi nel mercato del lavoro e hanno esigenze specifiche connesse alla tutela richiesta alla loro condizione” (principio questo più volte richiamato dalla giurisprudenza nazionale di merito e di legittimità).