É compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica economica e sociale del Paese. 
(Art. 3, comma 2, Cost.)

statuto lavoratori Nella notte di Capodanno del 1969 l’allora ministro del lavoro Giacomo Brodolini, padre dello Statuto dei lavoratori, così si rivolse ai lavoratori che occupavano da settimane una fabbrica chiusa per dissesto: “Come membro del governo della Repubblica italiana fondata sul lavoro, sento di dirvi che in un caso come questo il Ministro del lavoro non pretende di porsi, come tradizionalmente si dice, al di sopra delle parti, ma sta con tutto il cuore da una parte sola: dalla vostra parte, auspicando uno sbocco positivo alle vostre legittime rivendicazioni"

È possibile ricominciare a pensare a un diritto del lavoro diseguale, come quello che i legislatori del 1970 avevano pensato per i lavoratori di allora?
È possibile pensare nuovamente a un diritto del lavoro che abbia come primo obiettivo quello di ridurre le diseguaglianze tra datori di lavoro e lavoratori e tra i lavoratori stessi?
Noi pensiamo che si possa. Anzi, pensiamo che si debba.

Chi siamo.
Comma2 nasce nel giugno 2017 dall’idea di riunirsi al capezzale del diritto del lavoro per confrontarsi sulle cure necessarie per rivitalizzarlo. Lo scopo della nostra associazione infatti è quello di restituire dignità al lavoro - dignità fortemente messa in discussione dalla legislazione dell'ultimo ventennio - non solo nella sua forma “stabile” ma anche nelle tante forme di lavoro autonomo e/o precario.
Il nome che abbiamo scelto evoca i valori di libertà, dignità umana, eguaglianza sostanziale sanciti nel secondo comma degli articoli 3 e 41 della Costituzione, valori ripresi nel nostro Statuto.

I primi risultati delle nostre iniziative.
In questi anni la nostra Associazione ha operato su più fronti.
Ha tentato di costruire un rapporto con partiti ed associazioni sindacali presentando le proprie proposte, e nostri rappresentanti sono stati sentiti in molteplici audizioni parlamentari sia alla Camera che al Senato.
Inoltre, molti nostri associati sono stati tra i protagonisti di importanti battaglie giudiziarie, nei Tribunali e nella Corti d'appello di tutto il Paese, ma anche avanti la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione, portando a risultati significativi in tema di licenziamenti, contrasto alla precarietà ed in genere di tutela dei diritti dei lavoratori.

Sul nostro sito sono stati ospitati contributi importanti di insigni studiosi e, nella sua Area riservata, grazie al generoso apporto di moltissimi nostri soci, abbiamo creato un utilissimo archivio di giurisprudenza innovativa e di atti giudiziari non altrimenti reperibili.
La nostra mailing list ha rappresentato un importante strumento di confronto interno e di scambio di informazioni ed esperienze.

Le prospettive.
Non c'è dubbio che, dal momento della nostra nascita, si sia assistito ad una sia pur timida inversione di tendenza anche della legislazione in materia di lavoro, che, con il contributo 
importante della Corte Costituzionale, ha portato un parziale smantellamento dell'impianto del Jobs Act.
Questi risultati positivi però non bastano ancora, in quanto i nostri obiettivi  fondamentali sono ben lontani dall'essere stati raggiunti.
La reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato, unica misura tale da rendere effettiva ogni altra tutela, non è stata infatti riproposta al centro del sistema, che resta fondamentalmente incentrato su misure meramente indennitarie, sia pure meno irrisorie di quelle originariamente previste dal Jobs Act del Governo Renzi.

La totale gratuità del processo del lavoro non è stata ripristinata dal legislatore, nonostante l'impegno della nostra associazione e nonostante la sentenza della Corte costituzionale n. 77/2018.

Pertanto non intendiamo demordere, in particolare in questo difficile periodo nel quale la pandemia ci ha drammaticamente 
dimostrato che è quanto mai necessario un sistema universalistico di tutele per i più deboli ed i più esposti.
La situazione nell'ultimo anno non è precipitata soltanto grazie ad alcune coraggiose misure adottate dal Governo, quali la generalizzazione della CIG ed il blocco dei licenziamenti economici, ma ciò non ha potuto impedire che, come sempre, i primi a pagare siano stati i precari ed i meno tutelati.
In un'epoca di grandi e rapidissimi mutamenti, si avverte in misura ancora maggiore la necessità di condurre la battaglia, politica e culturale, per cui è nata Comma2.

Confidiamo che continuino ad aderire alla nostra Associazione non solo avvocati, ma anche docenti (universitari e non), giornalisti, ex magistrati, sindacalisti, operai, impiegati, quadri, pensionati, studenti, disoccupati, inoccupati, cittadini comuni che abbiano a cuore gli scopi sociali e intendano impegnarsi nel perseguirli.

  • Home
  • Interventi

Ancora sullo sciopero generale del 17 novembre

di Elena Poli
Articolo pubblicato in contemporanea sulla rivista Questione Giustizia

Note sui provvedimenti del Governo e della Commissione di Garanzia per l’Attuazione della Legge sullo Sciopero nei Servizi Pubblici Essenziali: preoccupazione della salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati in contemperamento con la salvaguardia del diritto di sciopero, assistito da pari tutela costituzionale, oppure intento di contrastare le iniziative di lotta dei lavoratori e delle loro OOSS?

E’ ancora in atto la vicenda che ha visto gli interventi congiunti della Commissione di Garanzia per l’Attuazione della Legge sullo Sciopero nei Servizi Pubblici Essenziali e del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, entrambi e di concerto diretti ad imporre alle Confederazioni Sindacali CGIL e UIL la riduzione della durata delle astensioni conseguenti alla proclamazione dello Sciopero Generale indetto per il 17 novembre scorso. 

Conviene, per valutare il fondamento e gli effetti di tali interventi, riassumerne gli arresti.

In data 27 ottobre le Confederazioni CGIL e UIL Nazionali comunicavano alla Commissione di Garanzia ed a tutti i soggetti interessati l’indizione di uno sciopero generale nazionale, che avrebbe coinvolto anche tutti i settori pubblici e privati tenuti al rispetto della Legge n. 146/90 di regolamentazione dell’esercizio del diritto di sciopero nei Servizi Pubblici Essenziali[1] con astensione dal lavoro per l’intera giornata.

Espressamente le Confederazioni dichiaravano che la mobilitazione aveva il fine di ottenere il cambiamento della proposta di Legge di Bilancio in via di approvazione e delle politiche economiche e sociali adottate dal Governo nonché a sostegno delle piattaforme sindacali unitarie presentate (e mai prese in considerazione) per ottenere provvedimenti in materia di lavoro, politiche industriali, fisco, previdenza, pensioni, istruzione e sanità finalizzati alla riduzione delle disuguaglianze ed al rilancio della crescita economica del paese.

Da tale astensione venivano espressamente esclusi alcuni settori i cui lavoratori, come anticipato nei comunicati stampa sindacali diffusi sin dal 26 ottobre 2023 e secondo le proclamazioni di sciopero corredate da identiche motivazioni inviate alla stessa Commissione ed agli altri soggetti interessati nei giorni immediatamente successivi, avrebbero scioperato, a seconda delle Regioni di appartenenza, alcuni nella stessa giornata del 17 novembre, e altri nelle giornate successive del 24 novembre e del 1° dicembre.

Con delibera assunta in data 8 novembre, la Commissione indicava alle OOSS proclamanti due violazioni, a suo dire, della disciplina regolativa del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali: 1) il mancato rispetto delle regole della «rarefazione oggettiva» in violazione del rispetto dell’intervallo prescritto di 10 giorni dovuta alla presenza in calendario di altre agitazioni già proclamate da OOSS diverse in date vicine; 2) la violazione della «durata massima della prima azione di sciopero», differente a seconda dei settori e delle professioni (dalle 4 alle 12 ore).

Tali violazioni venivano segnalate sul presupposto che lo sciopero indetto per il 17 novembre, in ragione della esclusione di alcuni settori, non potesse considerarsi «generale» e che allo stesso non potessero, quindi, applicarsi le normative di “miglior favore” previste dalla stessa Commissione nella precedente delibera n. 134/2003. 

Tale delibera, infatti, era stata adottata all’espresso fine di modificare la regolamentazione delle modalità di esercizio del diritto di sciopero, come prevista dalla legge e dai contratti o dai regolamenti provvisori emanati dalla stessa Commissione, alleggerendone le prescrizioni allo scopo di renderla compatibile con il diritto allo sciopero «generale» - da sempre considerato legittimo-, e tale da non renderne impossibile l’esercizio. Ad esempio, e per quanto qui interessa, la delibera (i) da un lato escludeva, in caso di sciopero generale, l’obbligo di osservare i limiti massimi di durata della prima astensione dal lavoro previsti in misura differente dalle normative contrattuali o amministrative di settore e (ii) dall’altro rendeva meno stringente l’obbligo di osservare tra due o più scioperi riguardanti lo stesso servizio e lo stesso bacino di utenza  l’intervallo di tempo prescritto in misura differente settore per settore. A tal fine la delibera demandava alla Commissione la valutazione caso per caso della effettiva sussistenza e dell’entità dell’eventuale danno apportato da tale omissione al “contenuto essenziale” dei diritti della persona costituzionalmente garantiti oggetto di tutela in contemperamento con quella del diritto di sciopero altrettanto costituzionalmente garantito (c.d. garanzia della «rarefazione oggettiva»). Allo stesso fine la delibera determinava tale lasso di tempo in misura uniforme per tutti i settori (10 giorni).

Continua a leggere

  • Interventi

La Corte di cassazione approva il salario minimo

"Pubblichiamo un commento alle sentenze pubblicate dalla Corte di Cassazione in data 2 ottobre  diffuse da Silvia Balestro. Dovrebbe essere di imminente deposito anche una terza, discussa dal nostro socio Alberto Guariso nella stessa udienza del 14 settembre: a questo punto possiamo dire che, sul punto, l'orientamento del Supremo Collegio è univoco. Vi terremo informati sulle iniziative che intendiamo intraprendere sul tema del salario voluto dall'art. 36 Costituzione "

***

LA CORTE DI CASSAZIONE APPROVA IL SALARIO MINIMO

Con la recentissima sentenza 02 ottobre 2023 n. 27711 (e con altre due contemporanee sentenze “gemelle”) la corte di Cassazione, giudicando di controversie in tema di retribuzione adeguata ai sensi dell’art. 36 Cost. ha fissato fondamentali principi, particolarmente importanti al momento attuale, perché in perfetta sintonia con i criteri ispiratori ed i contenuti del progetto di legge sul salario minimo legale presentato unitariamente dai partiti del centro-sinistra e di prossima discussione in Parlamento. La sentenza ribadisce, anzitutto e soprattutto, la primazia e superiorità, rispetto ad ogni altra norma giuridica, della norma costituzionale dell’art. 36, che garantisce al lavoratore una retribuzione  adeguata al suo lavoro e sufficiente per garantire a lui ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa.

In particolare la Corte di Cassazione sottolinea che le tariffe salariali previste dai contratti collettivi, ancorché – si badi – sottoscritti dai sindacati comparativamente più rappresentativi, non possono considerarsi sempre e di per sé conformi al dettato costituzionale, pur costituendo per il Giudice il primo e naturale riferimento. La loro corrispondenza al precetto dell’art. 36 Cost. è soltanto una presunzione relativa, e non assoluta, che deve essere soppesata e valutata dal Giudice anche guardando “al di fuori” dell’ambito di quel contratto collettivo, e dunque a contratti collettivi di ambiti vicini, ad indici legislativi (es. importo di CIG, NASPI), nonché a previsioni di atti e convenzioni soprannazionali. E sulla base di questi rilievi il Giudice può e deve stabilire una retribuzione più alta, se del caso, di quella prevista dal contratto collettivo anche se sottoscritto dai Sindacati maggiormente rappresentativi.

Continua a leggere

  • Interventi

Presentazione articolo

Pubblichiamo, in contemporanea con Volerelaluna, un interessante intervento di Carlo Sorgi, ex magistrato che negli anni passati ha condiviso con Comma2 la battaglia contro il lavoro povero e per il salario minimo, che si pronuncia a favore della firma della petizione proposta in tema dalle “opposizioni”.

La nostra associazione non può che essere lieta che, finalmente, questo tema occupi le prime pagine dei giornali: conseguentemente auspica che le forze politiche promotrici della proposta di legge - e quelle sindacali che l’hanno appoggiata -  vogliano, con coerenza, fare tutto il possibile affinché essa vada in porto. Così, purtroppo, non è accaduto in passato, come evidenzia Sorgi nel suo articolo. 

La Presidente del Consiglio, spiazzata dagli ampi consensi registrati dai sondaggi a favore del salario minimo legale, nel tentativo di arginare una valanga che potrebbe fortemente compromettere la sua popolarità, con i suoi alleati di governo sembra voglia farsi paladina della contrattazione collettiva in alternativa al salario minimo per legge: dovrebbe, però, in tal caso affermare di ritenere giusto che, nel caso in cui un contratto collettivo lo preveda, sia lecito lavorare a tempo pieno per meno di 700 euro netti al mese. Questo fenomeno, infatti, riguarda certamente i cd. “contratti pirata”, che vengono inventati - e applicati da datori di lavoro spregiudicati  - all’unico scopo   di ridurre i diritti economici e normativi dei lavoratori e delle lavoratrici; ma può, purtroppo, coinvolgere anche contratti collettivi sottoscritti da associazioni sindacali maggiormente (e comparativamente) più rappresentative. È, perciò, con un certo imbarazzo che abbiamo assistito, negli ultimi anni, a pronunce dei Giudici del lavoro di numerose città che hanno accertato come “tariffe sindacali” fissate – per  determinati settori –  da organizzazioni sindacali tradizionali ,  fossero al di sotto della soglia di povertà, e conseguentemente in contrasto con l’art. 36 della Costituzione che impone che qualsiasi retribuzione sia idonea a garantire un’esistenza libera e dignitosa.  

Continua a leggere

  • Interventi

Alcuni spunti di riflessione sul salario minimo

di Carlo Sorgi
Articolo pubblicato in contemporanea con Volere la Luna.

La storia del salario minimo in Italia ha dell’inspiegabile e se dovessimo raccontare ad un francese (1) o ad uno spagnolo (2) le varie posizioni assunte difficilmente potrebbe capire , per dirla come Giorgio Gaber, cos’è la destra, cos’è la sinistra.
Le origini erano chiare: Il 14 maggio 1954, Teresa Noce (3) e Giuseppe Di Vittorio ( 4) furono primi firmatari della prima “proposta di Fissazione di un minimo garantito di retribuzione per tutti i lavoratori”
Poi tutto si ingarbuglia.
Non si riusciva a spiegare , ed era una domanda frequente in Italia, come mai proprio i sindacati, le organizzazioni finalizzate alla difesa e promozione delle condizioni di vita di lavoratori e lavoratrici, fossero scettici, o addirittura contrari al salario minimo. L’unica formazione politica, che per altro all’epoca non dichiarava nessuna appartenenza a schieramento politico ( tanto da fare il governo indifferentemente con la Lega e poi con il PD ) , a rilanciare con convinzione il tema era il Movimento 5 Stelle che con la ministra Catalfo proponeva una legge sul salario minimo. Alcune proposte erano state presentate per la verità anche dal PD ma con minore convinzione e coraggio, ancorandosi i testi di questo partito sostanzialmente ai contratti collettivi per non allontanarsi dagli intendimenti sindacali. Addirittura nel Gennaio 2019 il deputato di Fratelli d’Italia Walter Rizzetto – oggi presidente della Commissione Lavoro della Camera – presentava un progetto di legge intitolato Istituzione del salario minimo orario nazionale, per rendere la confusione più totale. 
Finalmente, questo solo per la chiarezza sul tema, arriviamo al settembre 2022 quando la destra stravince alle elezioni politiche formando un governo con a capo la leader del partito della destra più estrema rappresentata in Parlamento.Per altro durante il primo semestre di luna di miele della compagine governativa con il paese i sondaggi univocamente attestavano  la sempre maggiore popolarità di questo governo e le difficoltà della minoranza.
Poi qualcosa cambia. Il nuovo segretario del Partito Democratico , scelto non dagli iscritti al partito che indicano solo i due candidati per il ballottaggio, ma da oltre un milione di Italiani con idee progressiste è Elly Schlein che nel programma proposto ha nel salario minimo uno dei capisaldi insieme ai diritti civili e all’ambiente e nel dialogo con i Cinque Stelle, oramai sempre più orientati a sinistra dal segretario Conte, la stella polare del proprio cammino politico.

 | L'intero articolo è scaricabile cliccando sul seguente link: << Download File .pdf >> 

  • Interventi

2003 – 2023 venti anni dalla legge Biagi

di Pier Luigi Panici

Appalti, esternalizzazioni e cooperative spurie:
occasioni inevitabili di sfruttamento dei lavoratori?

Relazione

Appalti illeciti e interposizione parassitaria nelle prestazioni di lavoro:
la tutela giudiziaria.

Anticipo subito che la risposta al quesito del convegno è positiva: la normativa del D.Lgs 276/2003 sugli appalti con la contestuale – ma necessaria – abrogazione della legge 1369/60 è stata predisposta proprio per agevolare lo sfruttamento dei lavoratori.

Con il D.Lgs 276/2003 (cd. Legge Biagi) viene abrogato il divieto di interposizione nelle prestazioni di lavoro della  l.1369/60 esattamente con il fine

di reintrodurre nell’appalto regolato dall’art. 29 anche la mera fornitura di manodopera

  • essendo per questo sufficiente l’esercizio del potere direttivo e organizzativo dell’appaltatore – che, come si vedrà si rinviene assai di rado negli appalti endoaziendali e nelle attività strettamente connesse con il ciclo produttivo dell’appaltante: la esperienza ci dice che nessun imprenditore tollera che ci sia un altro a comandare nella sua azienda
  • l’assunzione del «rischio d’impresa»: sostanzialmente inesistente in quanto il costo dei servizi appaltati riguarda essenzialmente la remunerazione della manodopera.

*******

Esula dalla presente trattazione la somministrazione di manodopera, ovvero l’utilizzo da parte di imprenditori e «sotto la loro direzione e controllo» di dipendenti di altri (artt. da 20 a 28).

Per due motivi:

Continua a leggere

  • Interventi

Decreto Lavoro, più precariato e un regalo ai consulenti di Calderone: potranno certificare le causali dei contratti a termine

di Chiara Brusini
Articolo pubblicato sul Il Fatto Quotidiano - Intervista a Enzo Martino

Fedele alla linea del “non disturbare chi vuole fare”, nel cdm annunciato per il Primo maggio il governo Meloni intende allargare ancora i paletti che limitano la precarietà. E già che c’è coglie l’occasione per fare quello che il giuslavorista Enzo Martino definisce “un regalino ai consulenti del lavoro“ il cui consiglio nazionale è stato guidato dalla ministra Marina Calderone fino al suo arrivo in via Veneto. Nelle bozze del decreto Lavoro, accanto allo smantellamento del reddito di cittadinanza, è stata inserita infatti anche la riscrittura del decreto Dignità nella parte in cui consente alle imprese di assumere a termine per durate superiori a 12 mesi solo in presenza di precise condizioni, le cosiddette causali. L’intervento punta a offrire la flessibilità da sempre invocata da Confindustria.

La direzione è la stessa verso la quale le principali forze politiche si erano mosse già nel 2021, iniziando a scardinare con voto bipartisan il provvedimento del primo governo Conte. Ma ora c’è un salto di qualità “pericoloso e insidioso dal punto di vista ideologico“, spiega Martino: “Si scavalca anche la contrattazione collettiva e si consente di ricorrere a lavoro precario per esigenze che di fatto saranno inventate dall’azienda e “certificate” a pagamento – per evitare successive contestazioni – da enti bilaterali o consigli provinciali dei consulenti del lavoro. Cioè organismi privi di qualsiasi terzietà e incompatibili con una reale tutela del lavoratore”.

Continua a leggere

  • Interventi

La presa della Bastiglia e l’Europa

di Francesco Andretta

Il 19 aprile la Commissione UE ha avviato la procedura di infrazione INFRA(2014)4231 perché l’Italia non si è adeguata correttamente alla Direttiva 70/1999/CE, che disciplina il lavoro a termine, e non ha predisposto nel proprio ordinamento tutele dissuasive ed effettive per i precari pubblici come quella della trasformazione in tempo indeterminato.

La procedura di infrazione trova le sue fondamenta giuridiche sul capo 71 della sentenza Sciotto della CGUE, causa C-331/17, del 25.10.2018 di cui all’epoca nessun giornale o editoriale televisivo diede notizia; anzi pare che la politica dell’epoca impartì l’ordine di non divulgare la notizia perché troppo eversiva.

La pronuncia della Corte UE sancisce che i lavoratori precari che non possono accedere alla trasformazione in tempo indeterminato in ragione del divieto di conversione imposto dal perseguimento del vincolo di bilancio sono discriminati rispetto ai lavoratori che, invece, possono diventare a tempo indeterminato. Il che, indipendentemente dalla natura pubblica o privata del datore di lavoro.

La sentenza riguardava i lavoratori dello spettacolo dipendenti delle fondazioni lirico sinfoniche; istituzioni dirette a tutelare il patrimonio artistico e culturale italiano della danza e dell’opera sinfonica e lirica che gode di così tanta fama e bellezza nel mondo da essere riprodotto in qualsiasi nazione di elevato upgrade culturale: praticamente quasi in tutto il mondo. Ossia in breve, l’identità culturale degli italiani. La disciplina del lavoro a termine delle fondazioni lirico sinfoniche si assesta esattamente sulla linea di demarcazione tra l’impiego privato e quello pubblico: le fondazioni, pur essendo private, devono rispettare, anche per le assunzioni a termine, il vincolo di bilancio e l’esperimento delle selezioni concorsuali.

Continua a leggere

  • Interventi

Sull’abrogazione del rito Fornero

MAGISTRATURA DEMOCRATICA

“La riforma della giustizia civile”
QUINTO SEMINARIO,
22 marzo 2023 ore 15:30
Le controversie di lavoro 

Intervento di Alberto Piccinini 

Ringrazio Magistratura Democratica dell’invito a nome dell’associazione Comma2- Lavoro è dignità - che prende il nome dal capoverso dell’art. 3 della Costituzione -  associazione composta, tra l’altro, da oltre 300 avvocati giuslavoristi che difendono i lavoratori e le lavoratrici.

Dirò quindi alcune cose sul superamento del Rito Fornero “dal punto di vista” dei ricorrenti, su come abbiamo vissuto la riforma di oltre 10 anni fa e sulle nostre speranze per il futuro.

Ammetto che anche io all’inizio ho apprezzato [come il dott. Riverso] la riforma, soprattutto per le caratteristiche di sommarietà e celerità (analoghe al procedimento ex art. 28 Statuto dei Lavoratori): e dal punto di vista dei tempi indubbiamente la promessa è stata mantenuta, se consideriamo che la prima causa è stata discussa in cassazione all’udienza del 24 settembre 2014 (sentenza n.  23.669/2014) a poco più di due anni dall’entrata in vigore della legge.

Ben presto, però, ne sono venuti a galla i difetti, primo fra tutti la frammentazione sul piano processuale rispetto alle domande non strettamente connesse con il licenziamento, con conseguente duplicazione di cause (e di contributi unificati).

Per non parlare delle iniziali incertezze in materia di conseguenze per l’erronea scelta del rito, che ha visto proliferare decisioni di nullità e/o inammissibilità del ricorso: per noi avvocati sempre ricorrenti è stato un vero incubo e, in situazioni di dubbio sul nuovo rito, per il timore di sbagliare e incorrere in decadenze, spesso ci siamo trovati a portare avanti  parallelamente la stessa causa promossa con rito ordinario e con rito speciale, salvo poi abbandonare quella che sarebbe risultata sbagliata.

Continua a leggere

  • Interventi

Lavoro povero: interviene la magistratura ma serve un salario minimo legale

di Alessandro Villari

Ha avuto un certo risalto la recente sentenza con cui la Corte d’Appello di Milano ha dichiarato che la retribuzione degli addetti alla vigilanza presso l’Azienda Trasporti Milanesi (dipendenti della società Sicuritalia IVRI a cui ATM ha appaltato il servizio) è inferiore al minimo costituzionale, ossia non è sufficiente ad assicurare loro un’esistenza libera e dignitosa, e non è proporzionata alla quantità e alla qualità del loro lavoro.

Il CCNL Servizi fiduciari, applicato dall’impresa appaltatrice, prevede per operai di media specializzazione con orario a tempo pieno una retribuzione lorda di 950 Euro, che al netto di trattenute previdenziali e fiscali corrisponde a un importo non superiore a 800 Euro al mese.

Il datore di lavoro è stato condannato ad alzare il salario dei lavoratori che avevano promosso il giudizio a 1.218 Euro al mese, adeguandolo alla retribuzione prevista da altro CCNL del settore per mansioni analoghe. Sicuritalia IVRI e ATM, quest’ultima in qualità di committente, dovranno inoltre pagare tutte le differenze arretrate.

La questione riguardante la retribuzione prevista dal CCNL Servizi fiduciari in realtà non è nuova e le stesse motivazioni di quest’ultima sentenza danno conto di un orientamento che negli ultimi anni, almeno nel Foro ambrosiano, va sempre più consolidandosi sia pure ancora con qualche oscillazione: sono ormai almeno una ventina  le pronunce conformi, e la stessa ATM era stata destinataria di provvedimenti analoghi nel recente passato.

Continua a leggere

 

 

SEDE

Via San Felice, 6
Bologna 40122 - Italia
Tel.: +39 349 2855 451
E-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 
Top

Comma2.it | All rights Reserved.