Ripensare i licenziamenti economici
di Antonio Carbonelli
Articolo pubblicato in contemporanea con Volere la Luna.
Con il decreto legge n. 99/2021 viene meno, almeno gradatamente, l’efficacia delle norme emergenziali per cui restava preclusa al datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 legge n. 604/1966. È dunque il momento di tornare a chiedersi cosa sia questo “giustificato motivo oggettivo”: in particolare nel licenziamento detto a-tecnicamente economico.
Gli altri ordinamenti europei, specialmente quelli francese e tedesco, lo disciplinano in modo articolato, con ragionevoli misure di formazione e addestramento da adottare preventivamente a favore del lavoratore e con le caratteristiche delle difficoltà economiche che possono assumere rilievo. Nell’ordinamento italiano invece l’art. 3 della legge n. 604/1966 si limita a definire giustificato motivo detto oggettivo «le ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa». Ma quali sono, in concreto, quelle ragioni, a fronte di un disposto così scarno da parte del legislatore? Molto semplice: quelle che il giudice qualificherà come tali.
L’orientamento prevalente della Cassazione italiana, sino alla sentenza n. 5173/2015, è stato nel senso che le ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa idonee a giustificare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo non potevano consistere in una mera soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore strumentale a un incremento di profitto: la soppressione del posto di lavoro doveva essere diretta a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti.