Le delocalizzazioni: ipocrisia normativa e complicità sindacale
di Antonio Carbonelli
Articolo pubblicato in contemporanea con Volere la Luna.
Nel nostro paese le organizzazioni sindacali si meravigliano di essere guardate con sospetto da quegli stessi lavoratori che dovrebbero confidare nella loro assistenza.
Nel 1967 Hayek, uno dei teorici del liberismo economico, cioè dei fattori di diseguaglianza patrimoniale, suggeriva ai sindacati di spiegare ai lavoratori che occorrerebbe un livello salariale compatibile con un livello di occupazione alto e stabile: ma anche un bambino dovrebbe vedere che, se posso pagare un dipendente la metà, non ne assumo due, se non ne ho bisogno. Eppure, negli anni i sindacati si sono lasciati sempre più coinvolgere in procedure che li distolgono dal compito di assistere i lavoratori onesti dove non sono in grado di far valere le loro ragioni, resi istituzionalmente complici della scelta di chi porre in cassa integrazione o licenziare: così l’art. 5 legge n.164/1975 sulla casse integrazioni, l’art.1 legge n. 223/1991 sulle casse integrazioni straordinarie, l’art. 5 legge n. 223/1991 sui licenziamenti collettivi. L’art. 47 legge n. 428/1990 ha introdotto una procedura di consultazione sindacale per i trasferimenti d’azienda o ramo d’azienda: la Cassazione l’ha vanificata, dichiarando che il mancato esperimento della procedura non toglie efficacia al trasferimento d’azienda. La legge n. 92/2012 Monti-Fornero ha poi tolto la reintegrazione per vizi formali delle procedure di licenziamento collettivo: da allora le aziende, anzi, i loro consulenti, anzi, le assicurazioni dei loro consulenti, sono soggetti solo a una sanzione economica.