I casi della ex GKN di Campi Bisenzio e del gruppo La Perla
di Michelangelo Salvagni
I CASI DELLA EX GKN DI CAMPI BISENZIO E DEL GRUPPO LA PERLA: LA SALVAGUARDIA DELLA CONTINUITA’ AZIENDALE E DEL CAPITALE UMANO.
I
Trib. Firenze, decr. 26 dicembre 2023, est. Brigida Davia.
Art. 28 St. Lav.; comma 226 dell’art. 1 della L. n. 234/2021.
II
Trib. Bologna, sez. IV Civile, decreto 19 dicembre 2023, est. M. Atzori
Misure Cautelari art. 54 CCII - Codice della Crisi - Sequestro marchio.
III
Trib. Bologna, sez. IV Civile, decreto 12 gennaio 2024, est. M. Atzori
Misure cautelari nell’ambito del procedimento unico di insolvenza; art. 54 CCII - sequestro intero compendio societario.
IV
Trib. Bologna, sez. IV Civile, sentenza 26 gennaio 2024, Pres. M. Guernelli, est. M. Atzori
art. 2, comma 1, lett. m) (CCII); art. 11 CCII; art. 26 CCII.
- Considerazioni preliminari: delocalizzazioni, reindustrializzazioni e stato d’insolvenza
Le vicende della ex GKN di Campi Bisenzio e della società La Perla in un certo senso sono collegate in ragione dell’impatto negativo delle scelte imprenditoriali sia sulla continuità aziendale che sull’occupazione. Il tema di interesse riguarda gli strumenti di tutela messi in campo dal Sindacato (la CGIL Fiom a Campi Bisenzio e la Filctem-Cgil di Bologna) per la salvaguardia della c.d. forza lavoro rispetto a decisioni contraddittorie e irresponsabili con riferimento alle finalità che, invece, si era posta la stessa società - ossia, reindustrializzazione nel caso della ex GKN ora Fiducia nel Futuro Fabbrica di Firenze - e di mala gestio della società (caso Gruppo La Perla), mediante una condotta posta in essere anche in violazione delle norme stabilite dall’art. 2086 c.c., secondo comma, come introdotti dal D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14. Va ricordato che tale disposizione impone infatti al datore di lavoro di vigilare, tramite i propri amministratori e manager, sull’andamento economico dell’impresa. L’imprenditore deve gestire responsabilmente eventuali crisi economiche al fine di garantire la continuità aziendale nell’interesse dei creditori, tra i quali rientrano anche i lavoratori, e in tal modo prevenire l’insolvenza.
Appare pertanto opportuno analizzare le soluzioni giudiziarie fornite dai provvedimenti in esame per comprendere, in che modo, le diverse disposizioni in materia di delocalizzazioni e del Codice della Crisi, applicabili alle fattispecie in esame, siano state interpretate per assicurare, da una parte, la continuità d’impresa e, dall’altra, la protezione del “capitale umano” che rappresenta, secondo i giudici bolognesi, il “cuore pulsante” della compagine societaria.
- Il caso della ex GKN (ora Fiducia nel Futuro Fabbrica di Firenze): la condotta antisindacale per la violazione degli obblighi di informazione alle OO.SS.
La decisione di qualche anno fa (per inciso nel 2021) da parte della GKN di Campi Bisenzio di procedere ai licenziamenti collettivi e alla chiusura definitiva dello stabilimento aveva colpito l’opinione pubblica, le istituzioni, i sindacati e i dipendenti coinvolti per le modalità con cui era stata manifestata: una comunicazione effettuata direttamente ai 422 dipendenti tramite e.mail, senza alcun preavviso, senza alcuna interlocuzione con il sindacato, senza l’apertura di un tavolo istituzionale di trattative, senza il ricorso ad ammortizzatori sociali e con lo stabilimento strumentalmente chiuso per evitare ritorsioni dei lavoratori.
La CGIL FIOM aveva preposto un ricorso ex art. 28 St. Lav. e il Trib. Firenze, con decr. del 23.9.2021 – Est. Brigida Davia, aveva affermato che “è antisindacale la condotta del datore di lavoro che impedisce alle organizzazioni sindacali di interloquire nella fase di formazione della decisione di procedere alla cessazione totale dell’attività di impresa, non fornendo loro alcuna informazione preventiva pur essendone espressamente obbligato in base al contratto collettivo e da specifici accordi sindacali” (per chi volesse approfondire il tema, rimando ad un mio contributo pubblicato sulla RGL, n. 4/2021, Parte II, RGL Giurisprudenza on line - Newsletter n.11/2021, dal titolo “I licenziamenti collettivi della Gkn: un caso di condotta antisindacale per violazione dell’obbligo di informazione”).
Successivamente, la vicenda societaria si è così evoluta: nel 2021 il 100% delle quote azionarie della ex GKN di Campi Bisenzio sono state acquisite da altra società che, dopo aver revocato lo stato di liquidazione, ha cambiato il nome della società chiamandola Fiducia nel Futuro Fabbrica di Firenze Spa (denominata in forma abbreviata “QuattroF) con l’intento di reindustrializzare il sito.
Tuttavia la società, in data 9 febbraio 2023, veniva posta in liquidazione volontaria. Decisione inaspettata in quanto l’azienda nei mesi precedenti: a) dapprima, aveva annunciato la volontà di reindustrializzare il sito siglando, in data 19 gennaio 2022, un Accordo con i Sindacati che prevedeva la cassa integrazione e la riqualificazione della manodopera; b) successivamente, aveva usufruito di due periodi di CIGS. Alla luce di tali determinazioni, la società, con due diverse informative del 23 e 28 settembre 2023, comunicava di aver maturato “l’intenzione di cessare definitivamente lo svolgimento di qualsiasi attività produttiva”.
La procedura dei licenziamenti collettivi ex artt. 24 e 4 L. 223/91 veniva così avviata il 18 ottobre 2023.
- Il decreto ex art. 28 St. Lav del Tribunale di Firenze e l’interpretazione delle norme sulla delocalizzazione e reindustrializzazione del sito ex n. 234/2021.
Il Tribunale di Firenze con decreto del 26 dicembre 2023, a seguito di un nuovo ricorso ex art. 28 St. Lav. presentato anche questa volta dalla Fiom Cgil, ha dichiarato la condotta antisindacale del datore per aver omesso le comunicazioni alle rappresentanze sindacali, obbligatorie in base alla legge 234 del 30 dicembre 2021 (commi 224 e ss.: disciplina delle c.d. delocalizzazioni e della chiusura degli stabilimenti produttivi).
Il giudice toscano, pertanto, si è occupato nuovamente di una vicenda analoga a quella del 2021, sempre riguardante il caso delle mancate comunicazioni dovute ai Sindacati in caso di licenziamento collettivo. Nella nuova vicenda, tuttavia, appare di rilievo l’interpretazione fornita dal Tribunale fiorentino sulle norme in materia di “delocalizzazione” che, in un certo senso, erano state favorite anche dallo scalpore mediatico che aveva suscitato il precedente caso GKN sopra citato (si ricorda che il primo decreto ex art. 28 St. lav. del Trib. Firenze risale al 23 settembre 2021, mentre la legge sulle delocalizzazioni è del 30 dicembre dello stesso anno).
Il tema di maggiore interesse del provvedimento giudiziale del 26 dicembre 2023 riguarda sicuramente la questione se la società dovesse rispettare o meno gli obblighi di informazione alle OO.SS., di cui sono esentati le aziende in crisi dotate di una “concreta prospettiva di risanamento”. A parere del giudice, tale esenzione non ricorre nel caso di specie in quanto la società si troverebbe in una situazione diversa rispetto a quella prevista dal comma 226 dell’art. 1 della L. n. 234/2021. Afferma il Tribunale che, secondo la disposizione in parola, per accedere all’esenzione delle comunicazioni ai Sindacati, oltre al requisito dello squilibrio finanziario che rende probabile la crisi o l’insolvenza, la società avrebbe dovuto possedere “le caratteristiche per accedere alla procedura di composizione negoziata per la soluzione della crisi di impresa”. Tuttavia, tale composizione negoziata, secondo la ratio della norma sopra citata, presuppone “una concreta prospettiva di risanamento”, intesa come “ragionevole” e basata su “dati attendibili e ipotesi realistiche”, implicanti quindi un possibile superamento della crisi e degli squilibri finanziari. Requisiti questi che, a parere del giudice fiorentino, non ricorrono nel caso di specie in quanto il datore di lavoro non ha allegato e dimostrato “concrete possibilità di risanamento”; anche perché è stata la stessa società a dedurre, nelle proprie difese, la “soggettiva convinzione, in capo all’azienda, della natura irreversibile della crisi”. Condivisibile, pertanto, appare la statuizione del magistrato in quanto, in effetti, un risanamento appare inconciliabile con una “crisi irreversibile”.
Il Tribunale di Firenze, in ragione della accertata violazione dell’art. 1, comma 224, L. 234/21, ha revocato il procedimento ex L. 223/91, in quanto invalido per aver la società omesso di effettuare le dovute comunicazioni nei termini sopra indicati. Conseguentemente il giudice, accertata la natura antisindacale della condotta datoriale, ha condannato la società “QuattroF” ad effettuare le comunicazioni previste dell’art. 1, comma 224, L. 234/21 e a revocare la lettera di apertura della procedura di licenziamento collettivo.
Anche questo secondo decreto ex art. 28 St. lav., al pari del primo del 23 settembre 2021, riconosce in ruolo centrale al Sindacato nella gestione delle crisi occupazionali, tanto più dove in gioco c’è la realizzazione di un piano di reindustrializzazione di un sito produttivo.
- Il caso del Gruppo “La Perla”: il sequestro giudiziale del marchio e del compendio societario e la dichiarazione di insolvenza.
La vicenda che interessa i lavoratori dei Gruppo “La Perla” nasce invece al di là della Manica, ma viene definita giudizialmente a Bologna. La ragione che ha indotto l’azione giudiziale dei lavoratori e delle OO.SS. bolognesi, infatti, prende le mosse da un’ordinanza dell’Alta Corte del Regno Unito che, su istanza del riscossore erariale britannico presentata il 26 giugno 2023, per un debito fiscale di oltre 12 milioni di sterline, ha posto in liquidazione nel Regno Unito in data 1.11.2023 la società “La Perla Global Management UK Limited”.
La questione italiana si è incentrata quindi sulle eventuali conseguenze della liquidazione della società con sede in Inghilterra, in quanto si paventava il rischio che si potesse “disgiungere” il marchio “La Perla” dal valore delle risorse umane che compongono la società, rappresentato da oltre trecento prestatori residenti in Italia. Il marchio “La Perla” è di proprietà della società “La Perla Global Management UK Limited”, con sede a Londra, ma con attività, dipendenza e rappresentanza a Bologna. Il personale che garantisce invece il valore del marchio è principalmente dipendente della società “La Perla Manufacturing S.r.l.” (222 dipendenti).
Il motivo delle preoccupazioni delle OO.SS. bolognesi va rinvenuto proprio nella struttura dell’intero Gruppo societario che, brevemente, pare opportuno ricostruire per comprendere come essa impatti sulle società italiane: il “Gruppo La Perla”, che complessivamente impiega 350 dipendenti, nel febbraio 2018 veniva acquistato da un fondo straniero, denominato Tennor e con sede a Londra, ed è così costituito: a) “La Perla Manufacturing S.r.l.”, di proprietà al 100 % della “La Perla Global Management UK Limited”, la quale occupa 222 dipendenti ed è composta da professionalità collegate alla produzione; b) “La Perla Global Management UK Limited”, con sede legale a Londra e sede italiana a Bologna, la quale occupa in Italia 76 dipendenti e il cui organico è rappresentato da professionalità collegate a funzioni trasversali, come ad es. ced, marketing, e-commerce etc.; c) “La Perla Italia S.r.l.”, che gestisce la rete di vendita principalmente nei c.d. Outlet, il cui organico è composto principalmente da 39 commesse.
Le OO.SS. sono state indotte ad agire a causa della condotta aziendale del tutto “irresponsabile” nella gestione del Gruppo sin dal 2021. La crisi societaria infatti, secondo la ricostruzione dei ricorrenti e delle stesse OO.SS., è di natura esclusivamente finanziaria poiché il “marchio” e i relativi “prodotti” sono ricercati dalla clientela e acquistati anche in ragione della qualità degli stessi. La crisi, pertanto, è addebitabile ad una gestione societaria non corretta da parte del management e si fonda su due ragioni principali: mancanza di investimenti da parte del Fondo Tennor (che gestisce il Gruppo “La Perla) e scarso credito da parte delle banche.
Considerato il concreto rischio che il marchio potesse essere oggetto di vendita nell’ambito della liquidazione avviata nel Regno Unito, i lavoratori hanno adito il Tribunale di Bologna per ottenere, in via di urgenza vista la gravità della situazione societaria, una misura cautelare efficace per la salvaguardia della continuità aziendale e per mettere in sicurezza il marchio e la stabilità occupazionale di tutto il Gruppo.
I lavoratori hanno chiesto, pertanto, di accogliere l’istanza di sequestro del marchio della società “La Perla Global Management UK Limited” e dei suoi beni, nonché di assumere ogni altro provvedimento cautelare più idoneo ad assicurare provvisoriamente l’attuazione della sentenza di omologazione dello stato di insolvenza e della conseguente procedura a tutela della continuità aziendale. L’azione giudiziale ha fondato le proprie ragioni nel cosiddetto “capitale umano”, quale valore aggiunto e “cuore pulsante” della produzione e del successo del marchio e vendita dei prodotti, grazie ad una professionalità e competenza rappresentata, per la maggior parte dei dipendenti, da un’anzianità ultraventennale.
- La giurisdizione del giudice italiano e l’identificazione del COMI in Italia.
Una delle prime questioni affrontate dai giudici bolognesi riguarda il tema della giurisdizione. I decreti del Tribunale di Bologna, prima, e la sentenza del Collegio del 26 gennaio 2024, n. 14, poi, si sono misurati con i profili della giurisdizione internazionale con riferimento ai fenomeni di extraterritorialità, interrogandosi se la domanda di apertura del procedimento unitario di un soggetto, con sede legale all’estero, possa essere esaminata dal giudice italiano. A parere dei giudici bolognesi, in ragione del disposto dell’art. 11 CCII, in materia di crisi, va dichiarata la competenza giurisdizionale del giudice italiano: sia il decreto che la sentenza, hanno affermato che la norma, inequivocabilmente, “sancisce la sussistenza della giurisdizione italiana sulla domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza allorquando l’impresa abbia in Italia il centro degli interessi principali ovvero anche solo una dipendenza”. In merito, il Collegio prosegue il proprio ragionamento osservando che se un’impresa ha in Italia “il c.d. COMI – Center Of Main Interest – ovvero anche solo un minimo di organizzazione di mezzi, la liquidazione giudiziale possa essere dichiarata da un giudice italiano”.
Al riguardo, i giudici che hanno emesso, dapprima, i decreti di sequestro dei marchi e di tutto il patrimonio della società “La Perla Global Management UK Limited”, ivi compresa l’azienda (cfr. decreti del 19.12.23 e del 12.1.24) e, successivamente, la sentenza del 26.1.24, hanno evidenziato che è in Italia il luogo in cui si ha la produzione, la vendita e la distribuzione dei prodotti del Gruppo “La Perla”. In particolare, è stato accertato che la quasi totalità dei lavoratori, proprio presso la sede italiana della Società “La Perla Global Management UK Limited”, in particolare a Bologna, nello stesso luogo e struttura della sede legale della “La Perla Manufacturing S.r.l.”. In concreto, le diverse società, nonostante la diversa denominazione, rappresentano un unicum che a Bologna ha il proprio centro di interessi di tipo organizzativo, gestionale, commerciale e distributivo dei prodotti a marchio La Perla; nella stessa sede di Via Mattei, oltre all’impiego del maggior numero di dipendenti, vi è anche la presenza dei dirigenti preposti alla gestione societaria, oltre la rilevante circostanza che i prodotti finiti e destinati alla vendita, confezionati dalla controllata “La Perla Manufacturing S.r.l.” e acquistati da “La Perla Global Management (UK) Limited”, sono spediti dall’Italia direttamente ai clienti, senza essere prima trasferiti fisicamente a Londra.
- Il collegamento funzionale tra le norme del Codice della Crisi e la tutela dei livelli occupazionali.
Il decreto del Tribunale di Bologna del 12 gennaio 2024 appare di particolare rilievo anche per i principi espressi in tema di collegamento funzionale tra le norme di gestione della crisi e dell’insolvenza e quelle di tutela dell’occupazione e del reddito dei lavoratori.
Sul punto, tale provvedimento ha osservato che tale “armonizzazione” trova fondamento nella Carta Sociale Europea, nella Direttiva 2008/94/CE, nonché nella direttiva 2001/23/CE, poste a tutela dei livelli occupazionali e, infine, nelle sollecitazioni provenienti dalla Direttiva UE 1023/2019, che “ribadisce la rilevanza non solo dei crediti dei lavoratori, ma anche la salvaguardia dei posti di lavoro”. A parere del giudice cautelare, il complesso delle “norme contenute nel Codice della Crisi esprime il tentativo di mettere in comunicazione la disciplina concorsuale con la disciplina dei rapporti di lavoro, anche attraverso interventi normativi diretti a preservare il complesso aziendale e a evitare l’insolvenza o, quando ciò non sia possibile, a risolverla nel rispetto del principio della tutela dell’occupazione”. A conferma di tale impostazione protettiva, il giudice bolognese ha affermato che criteri specifici di rilevanza lavoristica sono poi contemplati nell’ambito della liquidazione giudiziale che, all’art. 7, c. 7, della l. n. 155/2017, stabilisce: «la disciplina degli effetti della procedura sui rapporti di lavoro subordinato è coordinata con la legislazione vigente in materia di diritto del lavoro, per quanto concerne il licenziamento, le forme assicurative e di integrazione salariale, il trattamento di fine rapporto e le modalità di ininuazione al passivo».
Tutela che, del pari, sempre a parere del giudice bolognese, trova il proprio fondamento anche in altre normative. Da una parte, nelle disposizioni in materia di concordato preventivo ex art. 84, c. 2 CCII, ove è stabilito che «la continuità aziendale tutela l’interesse dei creditori e preserva, nella misura possibile, i posti di lavoro…». Dall’altra nell’art. 100, ultimo periodo, CCII, che – come modificato dall’art. 21, c. 2, del d.lgs. n. 83/2022 – dispone che «il tribunale può autorizzare ... il pagamento delle retribuzioni dovute per le mensilità antecedenti il deposito del ricorso ai lavoratori addetti all’attività di cui è prevista la continuazione», nel caso in cui tali prestazioni siano essenziali per la prosecuzione dell’attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori. Il Tribunale bolognese, alla luce di tali riferimenti normativi, ha ritenuto necessario un immediato intervento per tutelare i diritti e i crediti dei in ragione del “pericolo che il capitale umano costituito da un gruppo di dipendenti di altissima specializzazione e qualità venga completamente disgregato e disperso, impongono un immediato intervento a tutela dei diritti dei lavoratori e della possibilità di riprendere la produzione”.
- Le misure cautelari del sequestro giudiziale dei marchi e del patrimonio societario, l’accertamento dello stato d’insolvenza e dichiarazione di liquidazione giudiziale.
Il Tribunale di Bologna, con decreto del 19 dicembre 2023, ha concesso, inaudita altera parte, la misura cautelare del sequestro del marchio, ai sensi dell’art. 54 CCII, e la nomina dei custodi per amministrare temporaneamente la società, ciò al fine di evitare la vendita del marchio e liquidazione della società da parte dei liquidatori inglesi durante la fase di valutazione dei presupposti per l’apertura della procedura concorsuale in Italia.
Successivamente, sempre il Tribunale di Bologna, con decreto del 12 gennaio 2024, ha disposto il sequestro di tutto il patrimonio della società “La Perla Global Management UK Limited”, ivi compresa l’azienda, comprensiva di tutti i marchi La Perla (oltre a quelli già oggetto di sequestro del provvedimento emesso in data 19.12.2023). Il giudice, ai fini della conferma, revoca o modifica del provvedimento, ha poi fissato l’udienza del 19 gennaio 2024.
In seguito, è intervenuta la sentenza del 26 gennaio 2024, n. 24, che ha accertato lo stato di insolvenza della società “La Perla Global Management UK Limited” in ragione delle seguenti circostanze: a) la mancata erogazione, da mesi, degli stipendi ai propri dipendenti; b) dall’ingentissimo debito di natura commerciale pari a circa 96 milioni di euro nei confronti della propria controllata “La Perla Manufacturing S.r.l.”; c) dall’ingiunzione di cartelle esattoriali per circa € 1.900.000 da parte della Agenzia delle Entrate Riscossione.
In ragione di tali evidenze documentali, che dimostrano l’impossibilità per la società di fronteggiare le obbligazioni assunte nei confronti dei creditori sociali, il Tribunale ha ritenuto sussistere una situazione di manifesta insolvenza della società. Il Collegio infine ha ritenuto che, pur non verificandosi nel caso di specie le condizioni per l’apertura di un’amministrazione straordinaria, sussistano tuttavia i requisiti che consentono l’apertura del procedimento di liquidazione giudiziale.
Michelangelo Salvagni, avvocato in Roma