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Un ricordo di Franco Calamida

di Stefano Nespor

Voglio ricordare Franco Calamida con un brano dell'articolo apparso sul Manifesto.
Se ci fosse la galleria dei protagonisti del 68/69, Franco Calamida avrebbe un posto di rilievo.
Conquistato sul campo, prima ancora dell'autunno caldo, dentro a quella lotta degli impiegati milanesi che anticipò i contenuti egualitari del contratto, le forme di lotta, la democrazia delle assemblee e i consigli di fabbrica.
Da quella lotta, di cui poco si parla, nacquero i Comitati Unitari di Base dei metalmeccanici, i primi: alla Borletti e alla Philips.
Qui l'ingegnere socialista Calamida fa il salto alla lotta di classe, all'organizzazione dei lavoratori della Philips e poi nel movimento dei CUB non solo milanesi ma, alla Fiat di Torino a Napoli e alla militanza politica in Avanguardia Operaia.
Franco abbandonava così una brillante carriera per fare il “rivoluzionario di professione”, pagato come un operaio.
La parola aveva un senso nobile allora e non evocava violenza, ma il coraggio di rischiare, di pensare di cambiare il mondo e di misurare le proprie idee tra le persone con cui lavoravi o studiavi.
E' nell'assemblea al Palalido di Milano, dove venne presentata la piattaforma contrattuale dei metalmeccanici, che si formò Franco: parlando a 5000 impiegati metalmeccanici milanesi, a centinaia di delegati sindacali, ai dirigenti di Fiom–Fim–Uilm.

Oggi tutti lo ricordano: gentile, tollerante, portatore di dubbi, conviviale. Sono i tratti che lo hanno distinto in 50 anni di vita politica e di passaggi sofferti tra unificazioni e divisioni nella sinistra rivoluzionaria, da Avanguardia Operaia a Democrazia Proletaria a Rifondazione Comunista.
Un dirigente politico nazionale che girò per il paese in lungo e in largo per parlare, organizzare, fare comizi, dal Trentino alla Sicilia.
Era a Cinisi dopo la morte di Peppino a sostituirlo nel comizio elettorale.
Era inconfondibile, saliva alla tribuna con lentezza e i suoi toni di voce nelle assemblee di partito erano di conciliazione.

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