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Lavoro povero: interviene la magistratura ma serve un salario minimo legale

di Alessandro Villari

Ha avuto un certo risalto la recente sentenza con cui la Corte d’Appello di Milano ha dichiarato che la retribuzione degli addetti alla vigilanza presso l’Azienda Trasporti Milanesi (dipendenti della società Sicuritalia IVRI a cui ATM ha appaltato il servizio) è inferiore al minimo costituzionale, ossia non è sufficiente ad assicurare loro un’esistenza libera e dignitosa, e non è proporzionata alla quantità e alla qualità del loro lavoro.

Il CCNL Servizi fiduciari, applicato dall’impresa appaltatrice, prevede per operai di media specializzazione con orario a tempo pieno una retribuzione lorda di 950 Euro, che al netto di trattenute previdenziali e fiscali corrisponde a un importo non superiore a 800 Euro al mese.

Il datore di lavoro è stato condannato ad alzare il salario dei lavoratori che avevano promosso il giudizio a 1.218 Euro al mese, adeguandolo alla retribuzione prevista da altro CCNL del settore per mansioni analoghe. Sicuritalia IVRI e ATM, quest’ultima in qualità di committente, dovranno inoltre pagare tutte le differenze arretrate.

La questione riguardante la retribuzione prevista dal CCNL Servizi fiduciari in realtà non è nuova e le stesse motivazioni di quest’ultima sentenza danno conto di un orientamento che negli ultimi anni, almeno nel Foro ambrosiano, va sempre più consolidandosi sia pure ancora con qualche oscillazione: sono ormai almeno una ventina  le pronunce conformi, e la stessa ATM era stata destinataria di provvedimenti analoghi nel recente passato.

La particolarità della vicenda risiede nel fatto che questo CCNL non è un “contratto pirata” siglato da sindacati di comodo, bensì un contratto collettivo con tutti i crismi di rappresentatività, essendo stato stipulato dalle maggiori associazioni datoriali con i sindacati di categoria di CGIL, CISL e UIL.

Il che non impedisce che le retribuzioni previste da questo contratto siano non solo sensibilmente inferiori a quelle di tutti gli altri CCNL dei settori analoghi (Portierato, Servizi di pulizia, Commercio) a parità di mansioni e orario di lavoro; ma che siano addirittura inferiori, e non di poco, alla soglia di povertà assoluta calcolata dall’Istat (almeno per gli individui residenti nel Nord Italia).

Sono proprio queste valutazioni che hanno portato ripetutamente la magistratura a considerare superata quella presunzione di adeguatezza che tradizionalmente assiste le retribuzioni previste dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali più rappresentative.

Trasferendo il discorso dal piano strettamente tecnico-giuridico a quello economico-sociale, superare questa presunzione significa riconoscere che, nel contesto attuale dei rapporti di forza tra gli attori economici, la contrattazione collettiva non sempre è sufficiente a garantire ai lavoratori una tutela efficace delle loro condizioni di vita e di lavoro.

Del resto, proprio il CCNL Servizi fiduciari è scaduto da circa otto anni, senza che le trattative per il rinnovo siano prossime a concludersi (l’ultima proposta della parte datoriale sarebbe un aumento di 110 Euro al mese spalmato su tre anni, che non sposterebbe di una virgola la situazione).

Devono considerarsi venute meno, perciò, le ragioni che storicamente hanno motivato la diffidenza delle organizzazioni sindacali nei confronti di una regolamentazione per via legislativa, obbligatoria erga omnes, dei minimi salariali – regolamentazione che, beninteso, non ostacolerebbe certo là dove possibile una contrattazione al rialzo.

Del resto il compito di porre un argine al dramma del lavoro povero non può certamente ricadere su giudici e avvocati del lavoro. Sentenze come questa in commento, che pure sono ovviamente assai utili, offrono tuttavia necessariamente una soluzione molto parziale. Innanzitutto perché a beneficiarne sono soltanto i lavoratori che decidono di accollarsi i tempi, i rischi e i costi di uno o più gradi di giudizio.

In secondo luogo perché in ogni caso possono sanare unicamente le storture più estreme, e neppure sempre agevolmente. Basti pensare che la stessa motivazione della Corte d’Appello di Milano potrebbe non reggere a Napoli o a Palermo, dove la soglia di povertà Istat è considerevolmente più bassa che in Lombardia e un identico salario di 950 Euro lordi al mese potrebbe non essere considerato (giuridicamente) insufficiente.

Forse allora l’importanza maggiore di questa pronuncia risiede nell’accendere ancora una volta i riflettori sull’urgenza di introdurre anche in Italia un salario minimo legale (e nazionale) – possibilmente di pari passo a un meccanismo di adeguamento automatico all’inflazione. Si tratta di una necessità indifferibile, di cui è tempo che anche le organizzazioni dei lavoratori si facciano portavoce

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