CHI HA PAURA DEL CONTRASTO ALLA PRECARIETÀ?
▌Testo approvato dal Direttivo di Comma2
Firmato da oltre cento giuslavoristi e altri operatori del settore.
La durezza dell’attacco subìto dal “Decreto Dignità” sin dalla comparsa della sua bozza, con prospettati disastri per investimenti ed economia, ci induce ad intervenire, nella nostra veste di avvocati giuslavoristi quotidianamente impegnati nella difesa dei diritti dei lavoratori, per portare la nostra esperienza - prima ancora che il nostro punto di vista - attraverso una serena riflessione sulla reale portata dei provvedimenti messi in cantiere dal Consiglio dei Ministri.
Partendo da un indubbio riconoscimento: essi hanno spostato il “baricentro” dall’interesse esclusivo per la flessibilità del lavoro (mainstream che ha caratterizzato tutta la legislazione del lavoro degli ultimi 15-20 anni) all’interesse - anche - per la dignità di chi lavora, dando finalmente credito a quanti provavano a mettere in dubbio che le leggi del mercato potessero e dovessero essere le sole a dettare le regole, e conseguentemente determinare le condizioni di vita delle persone.
L’agnello sacrificale di tale dogma sono stati i diritti sociali e del lavoro, “rei” di aver goduto un immeritato benessere nella seconda metà del secolo scorso e quindi obbligatoriamente destinati a seguire un percorso di progressivo ridimensionamento per non danneggiare la competitività nel mercato globale, sul presupposto che tale competitività, garantendo inestimabili ricchezze a pochi, automaticamente ne farebbe ricadere centellinati benefici ai tanti.
I provvedimenti governativi, nel momento in cui si propongono di arginare la precarietà, si pongono, quindi, in timida controtendenza (che ci si augura non venga contraddetta o posta nel nulla con la reintroduzione dei voucher già espunti dall'ordinamento quale massima fonte ed emblema del precariato), rispetto al pensiero unico. Solo alla luce di queste considerazioni può comprendersi lo stato di allarme che essi hanno provocato.
Ciò premesso, non possiamo che constatare come le modifiche agli istituti della disciplina del licenziamento e del contratto a termine sono limitate, parziali e, in talune ipotesi, inidonee a conseguire il risultato ufficialmente auspicato: non viene intaccato, se non in misura irrilevante, il contratto a tutele crescenti, e la “rivoluzione” del contratto a termine che ha destato tanto sconcerto nel mondo imprenditoriale, sostanzialmente ripristina la situazione cristallizzata dalla Legge Fornero del 2012, integrata da riferimenti coerenti con la “temporaneità” che deve caratterizzare l’istituto.
In particolare quanto alla disciplina del licenziamento, viene lasciato inalterato l’impianto del D. Lgs. 23/15, che regola le risoluzioni dei contratti degli assunti dopo il 7 marzo 2015, confermando la assoluta residualità del ripristino del rapporto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo (la famosa reintegrazione) e limitandosi a modeste correzioni solo sull’ammontare dell’indennizzo (nei minimi e nei massimi) in caso di accertata illegittimità del licenziamento. Va ricordato che si tratta di un indennizzo “automatico” di due mensilità per ogni anno di servizio (peraltro dimezzato se il datore di lavoro fa un’offerta di conciliazione nel termine di 60 giorni dall’impugnazione).
Poiché il Decreto legge ha aumentato la misura minima da 4 a 6 mensilità e la massima da 24 e 36 mensilità abbiamo potuto leggere, nel quotidiano della Confindustria che “Far salire, da 24 a 36 mensilità gli indennizzi massimi in caso di licenziamento illegittimo potrebbe frenare le assunzioni con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti” (Ocse: Italia preservi il Jobs Act, bene sui precari” a firma Cl.T. “Sole 24 Ore del 5.6.2018). Anche ignorando i dati di durata media dei contratti a tempo indeterminato, stimati in pochi anni nella vigenza della Legge Fornero (che prevede una maggiore stabilità del Jobs Act) si può ragionevolmente affermare, in buona fede, che OGGI un imprenditore che ha la necessità di assumere sia “frenato” dal timore di dover pagare, nel 2036, un indennizzo di 36 mensilità in caso di licenziamento illegittimo?
Indubbiamente più significative le disposizioni sui contratti a termine.
Com'è noto, con il “decreto Poletti” (D.L. 20 marzo 2014 n. 34 , convertito in legge 16 maggio 2014 n. 78), il governo Renzi aveva del tutto abolito le “causali” previste per giustificare l'apposizione del termine al contratto di lavoro, lasciando come unici “limiti” a presidio della natura temporanea (necessari per garantire la conformità alla direttiva comunitaria 1999/70/CE), quello massimo di durata, fissato in 36 mesi e peraltro allungabile dalla contrattazione collettiva, e quello numerico del 20% rispetto agli assunti a tempo indeterminato, anch'esso ricco di possibili numerose deroghe.
Il decreto Poletti fu presentato come un intervento temporaneo, destinato ad essere rivisto con l'introduzione del cosiddetto contratto “a tutele crescenti”, ma non andò così perché, nonostante l'approvazione del “Jobs Act”, la liberalizzazione dei contratti a tempo determinato rimase nel nostro ordinamento, ed anzi la relativa disciplina fu addirittura ulteriormente peggiorata con il decreto legislativo n. 81/2015, che escluse la conversione del contratto a tempo indeterminato in caso di violazione del tetto numerico.
Il risultato inevitabile è stato che, esauritosi l'effetto “dopante” degli incentivi previsti nella finanziaria 2014 per i contratti a tempo indeterminato, le assunzioni a termine sono progressivamente aumentate, sino a raggiungere una percentuale superiore al 90% di quelle totali: una esplosione clamorosa, dunque, del lavoro precario, che il Governo Renzi, almeno a parole, si era impegnato a contrastare.
Il “decreto dignità”, rappresentando un'inversione di tendenza rispetto alla legislazione più recente, tenta almeno di porre un freno a questa situazione intollerabile, principalmente con le seguenti misure: a) accorciando il limite temporale complessivo da 36 a 24 mesi; b) riducendo da cinque a quattro il numero di proroghe e prevedendo anche un sia pur modesto onere contributivo ulteriore al fine di disincentivare i rinnovi; c) reintroducendo le causali sia nel contratto a tempo determinato sia nella somministrazione a termine (sostanzialmente quelle esistenti prima del decreto Poletti). Inoltre il decreto allunga il termine per l'impugnazione stragiudiziale dei contratti a tempo determinato, portandolo da centoventi a centottanta giorni, e ciò in considerazione dell'evidente stato di soggezione in cui si trova il lavoratore tra un rinnovo e l'altro.
La direzione verso cui si muove l'intervento legislativo è senz'altro quella giusta, in quanto tende a ricondurre questa tipologia di contratto al suo naturale ambito: quello cioè di strumento non ammissibile per sopperire ad esigenze strutturali delle imprese. Sia per il diritto interno che per quello comunitario, infatti, il contratto a tempo indeterminato rappresenta la “forma comune” di rapporto di lavoro, ed il lavoro temporaneo costituisce, o meglio dovrebbe costituire, l'eccezione. Il Jobs Act come detto, ha, invece, generato solo ulteriore lavoro precario.
L'obiezione, ossessivamente ripetuta come un mantra su certa stampa, secondo la quale la misura rischierebbe di incrementare il contenzioso, è strumentale e speciosa: se le aziende, pubbliche e private, rispetteranno le regole, ed assumeranno a termine solo in presenza di reali e comprovate esigenze di natura temporanea, non vi sarà alcuna conseguenza sul piano pratico. Né si può dignitosamente sostenere che un effetto di contenimento dell’eventuale contenzioso giudiziario possa essere perseguito attraverso la cancellazione dei diritti dei lavoratori.
Il limite della nuova normativa è invece quello che essa non si applica ai contratti di durata inferiore ai dodici mesi, ma solo a quelli di durata superiore ovvero alle proroghe eccedenti i dodici mesi ovvero ancora ai rinnovi. Poiché però le statistiche dimostrano che la grande maggioranza delle assunzioni a tempo determinato è di durata breve od addirittura brevissima, risulta chiaro che la nuova disciplina avrà purtroppo un impatto ridotto.
Le incisive misure sui contratti di somministrazione - che, se a tempo determinato, vengono equiparati a quelli “ordinari” a termine - trovano un limite nella permanenza della figura del contratto di somministrazione a tempo indeterminato (cd. staff leasing), lasciando quindi aperta la possibilità per il datore di lavoro che utilizza tali contratti (il cd. utilizzatore) di farlo stabilmente, con il solo limite del 20% sul totale dei suoi dipendenti. Se si vuole combattere davvero il precariato non si può ignorare che i dipendenti delle Agenzie di somministrazione verrebbero condannati a restarlo in eterno senza mai veder consolidare un rapporto di lavoro stabile presso il datore di lavoro che li utilizza.
Ci sembrano infine interessanti e positive le disposizioni in tema di delocalizzazione, con la previsione di restituzione dei contributi o aiuti ricevuti, nel termine, però, di 10 anni, anziché 5 anni.
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PROPOSTE
Poiché il Ministro del lavoro ha dichiarato la propria disponibilità ad apporre modifiche al decreto “nell’ottica del miglioramento”, affermando di voler porre un argine solo rispetto ai tentativi di “annacquarlo”, ci sentiamo autorizzati a fornire i nostri consigli “tecnici” nella direzione di una più efficace e incisiva lotta al precariato.
Contratti a termine
Le “buone intenzioni” del decreto - che probabilmente ipotizza un uso dei primi 12 mesi di contratto “acausale” come periodo di prova auspicando un interesse del datore di lavoro, alla scadenza, a convertire il rapporto in contratto a tempo indeterminato in assenza di esigenze non temporanee - si scontrano con l’inveterata abitudine di tanti datori di lavoro di utilizzare questa forma contrattuale al solo scopo di “tenere sotto scacco” i propri dipendenti perennemente ricattati dalla possibilità di perdere il lavoro allo scadere del primo termine utile. Per questa ragione è fondato il timore che decorso il primo anno – come ipotizzato/minacciato da autorevoli consulenti aziendali – i datori di lavoro provvedano a una semplice sostituzione di un lavoratore con un altro.
Pertanto, per quanto “coraggiosa” e in controtendenza sia stata la scelta di contenere l’uso dei contratti acausali, per scongiurare il pericolo sopra ipotizzato - che trasformerebbe in beffa una soluzione finalizzata all’uscita dalla precarietà-, si propongono due alternative: la prima, che avrebbe lo scopo di controllare che il contratto venga stipulato per effettive ragioni obiettive e temporanee, comporta la reintroduzione della causale sin dal primo contratto; la seconda, che salvaguarderebbe l’opzione di un primo contratto acausale di durata non superiore a 12 mesi, comporta l’estensione del diritto di precedenza in caso di nuove assunzioni non solo a tempo indeterminato (come previsto dall’attuale primo comma dell’art. 24 del Dlgs. 81/2015), ma anche a tempo determinato, com’è attualmente previsto per le sole lavoratrici madri e per i lavoratori stagionali, oltre che da una prassi assai conosciuta dalla contrattazione aziendale. Tecnicamente tale ultima disposizione sarebbe attuabile con la sola aggiunta delle parole “o determinato” al comma citato.
Inoltre dovrebbe essere chiaramente definito che il superamento della percentuale dei lavoratori a tempo determinato, attualmente punito solo con una irrisoria sanzione amministrativa, comporterà, come sanzione, la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, oltre a un risarcimento del danno.
Andrebbe infine precisato che il contratto a termine deve essere sottoscritto e consegnato prima o contestualmente all’inizio della prestazione, pena la sua trasformazione in contratto a tempo indeterminato.
Contratti di somministrazione
Anche per il contratto di somministrazione a tempo determinato è necessario che venga ribadito che la causale a carattere temporaneo debba essere introdotta sin dal primo contratto.
Il contratto di somministrazione a tempo indeterminato dovrebbe essere abrogato, trattandosi di una forma di utilizzazione del lavoro “eversiva” non tanto perché precaria, ma in quanto disgiunge responsabilità e utilizzazione del lavoro, anche quando il lavoro costituisca un’esigenza stabile dell’impresa.
Sullo Staff Leasing è necessario, quantomeno, richiedere l’abolizione dell’ultima parte del comma 1 dell’art. 31 del d.lgs 81/2105 che autorizza la somministrazione a tempo indeterminato presso l’utilizzatore per i dipendenti assunti dall’agenzia di lavoro con rapporto di lavoro a tempo indeterminato. In realtà si autorizza una intermediazione fraudolenta atteso che ogni rischio d’impresa viene scaricato esclusivamente sull’agenzia di lavoro, la quale, peraltro, in questo caso, usufruisce anche del beneficio di non essere soggetta alla disciplina di cui alla Legge n.223/91 in caso di chiusura o di licenziamenti collettivi di propri dipendenti.
Inoltre la somministrazione a tempo indeterminato, non essendo soggetta alla disciplina del contratto a termine, comporta che l’utilizzazione a tempo indeterminato presso lo stesso utilizzatore non è neppure soggetta ai 36 mesi complessivi perché l’art. 19 del d.lgs 81/2015 parla soltanto di somministrazioni a tempo determinato. Anche sotto tale profilo l’utilizzazione a tempo indeterminato dei lavoratori presso l’utilizzatore permette lo sfruttamento degli stessi e la risoluzione del loro rapporto di lavoro senza alcun costo per l’utilizzatore e con costi irrisori per il somministratore.
Sarebbe, infine, opportuno reintrodurre la fattispecie della somministrazione fraudolenta, cancellata dal Jobs Act. La disposizione abrogata consentiva non solo al lavoratore, ma anche agli istituti ( Inps), di agire quando la somministrazione aveva la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo.
Il Jobs Act prevede solo una azione di nullità esercitabile dal lavoratore (per quanto sia sempre invocabile la nullità ex art. 1418 c.c. da chiunque vi abbia interesse).
Una norma sulla somministrazione (e appalto) fraudolento, per fermare i noti fenomeni di dumping, sarebbe stata quanto mai necessaria.
Tutela in caso di licenziamento illegittimo
La Legge Fornero del 2012 era intervenuta a modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, limitando fortemente la possibilità di ottenere la reintegrazione sia in caso di licenziamento disciplinare che in caso di licenziamento economico.
Ciò nonostante il Jobs Act, appena tre anni dopo, ha reso la reintegrazione una tutela assolutamente residuale per gli assunti dopo il 7 marzo 2015, riservandola ai soli licenziamenti nulli o discriminatori, escludendola del tutto per i licenziamenti cosiddetti “economici” (cioè individuali per giustificato motivo oggettivo ovvero collettivi per riduzione di personale) ed ammettendola, per quelli disciplinari, nell’esclusiva ipotesi di assoluta insussistenza del fatto “materiale” contestato al lavoratore, fatto che può essere anche di rilevanza disciplinare irrisoria (è infatti impedito al giudice di valutarne la sproporzione).
E' assolutamente evidente che il regime sanzionatorio previsto dal Jobs Act non costituisce un valido deterrente per scoraggiare i licenziamenti ingiustificati: il contratto a tutele crescenti rappresenta infatti una forma di precariato a tempo indeterminato (una sorta di contratto a tempo “indeterminabile” come qualcuno lo ha definito) che condiziona libertà e dignità dei lavoratori per tutta la durata del rapporto, rendendo assai poco effettivi anche gli altri diritti riconosciuti dalla legge.
Le “tutele crescenti” tutelano chi licenzia ingiustamente più di chi viene ingiustamente licenziato: sarebbe conseguentemente auspicabile un intervento che, quantomeno, eliminasse l’assurdo - e non giustificato, secondo criteri di uguaglianza e ragionevolezza - doppio regime di tutela tra vecchi e nuovi assunti.
È a nostro avviso necessario ribadire che la tutela della dignità dei lavoratori si garantisce attraverso la reintegra o la riammissione in servizio in caso di accertata ingiustificatezza del licenziamento, perché è il solo modo per assicurare loro un ruolo produttivo nella società e non di mero assistenzialismo. L’unico strumento idoneo a conseguire questo risultato è ripristinare l’uguaglianza tra gli assunti prima del 7 marzo 2015 e gli assunti dopo il 7 marzo 2015, abrogando integralmente il D.lgs. 23/2015.
Firme per adesione
Alberto Piccinini – Avvocato Giuslavorista e socio fondatore nonché Presidente associazione Comma2
Anna Silvana Lamacchia – Avvocato Giuslavorista e Vice Presidente associazione Comma2
Velia Addonizio – Avvocata Giuslavorista e componente direttivo Comma2
Silvia Balestro – Avvocata Giuslavorista e componente direttivo Comma2
Mario Fezzi – Avvocato Giuslavorista e socio fondatore nonché componente direttivo Comma2
Stefania Mangione – Avvocata Giuslavorista e componente direttivo Comma2
Pierluigi Panici – Avvocato Giuslavorista e componente direttivo Comma2
Elena Poli – Avvocata Giuslavorista e componente direttivo Comma2
Giuliana Quattromini – Avvocata Giuslavorista e componente direttivo Comma2
Vincenzo Martino – Avvocato Giuslavorista e socio fondatore Comma2
Bruno Del Vecchio – Avvocato Giuslavorista
Luigi Mariucci – Professore Universitario Diritto del lavoro
Livio Pepino – già Magistrato
Roberto Lamacchia – Avvocato Giuslavorista
Mario Berruti – Avvocato Giuslavorista
Francesco Montorio - Funzionario
Giuseppe Civale – Avvocato Giuslavorista
Fabio Bucher – Avvocato Giuslavorista
Massimiliano Del Vecchio – Avvocato Giuslavorista
Lorenzo Franceschinis – Avvocato Giuslavorista
Gabriele Porro – Giornalista
Nyranne Moshi – Avvocata Giuslavorista
Guido Reni – Avvocato Giuslavorista
Antonio Distasi – Avvocato Giuslavorista e Professore universitario di Diritto del lavoro
Roberto Pignatta – Avvocato Giuslavorista
Alvise Moro – Avvocato Giuslavorista
Mara Parpaglioni – Avvocata Giuslavorista
Giorgio Albani – Avvocato Giuslavorista
Gabriella Vanzetti – Avvocata Giuslavorista
Luca Crisafulli – Avvocato Giuslavorista
Bruno Laudi – Avvocato Giuslavorista
Stefano Chiusolo – Avvocato Giuslavorista
Stefania Lazzati – Avvocata Giuslavorista
Leonello Azzarini – Avvocato Giuslavorista
Francesca Romana Guarnieri – Avvocata Giuslavorista
Alida Vitale – Avvocata Giuslavorista
Gianni Giovannelli – Avvocato Giuslavorista
Antonio Gennari – Avvocato Giuslavorista
Pierangelo Galmozzi – Avvocato Giuslavorista
Antonio Pironti – Avvocato Giuslavorista
Antonella Gavaudan – Avvocata Giuslavorista
Irene Pappalettera – Avvocata Giuslavorista
Daniela Manassero – Avvocata Giuslavorista
Marco Petrocelli – Avvocato Giuslavorista
Francesca Stangherlin – Avvocata Giuslavorista
Francesco Pizzuti – Avvocato Giuslavorista
Francesco Mercuri – Avvocato Giuslavorista
Giovanni Sozzi – Avvocato Giuslavorista
Carlo Guglielmi – Avvocato Giuslavorista
Alessandro Brunetti – Avvocato Giuslavorista
Emiliano Fasan – Avvocato Giuslavorista
Andrea Matronola – Avvocato Giuslavorista
Katia Agnès Giuliani – Avvocata Giuslavorista
Bartolo Mancuso – Avvocato Giuslavorista
Chiara Panici – Avvocata Giuslavorista
Ilaria Panici – Avvocata Giuslavorista
Chiara Colasurdo – Tirocinante Avvocata
Claudio Zaza – Avvocato Giuslavorista
Salvatore Corizzo – Tirocinante Avvocato
Gabriele Cingolo – Tirocinante Avvocato
Matteo Panici – Tirocinante Avvocato
Massimo Bellomo – Avvocato Giuslavorista
Ottavio Di Girolamo – Avvocato giuslavorista
Alberto Medina – Avvocato Giuslavorista
Amos Andreoni – Avvocato e Professore universitario Diritto del lavoro
Nino Raffone – Avvocato Giuslavorista
Alfredo Tassone – già Impiegato statale
Lidia Golinelli – Avvocata Giuslavorista
Lorenza Cescatti – Avvocata Giuslavorista
Enrico Brunoldi – Avvocato Giuslavorista
Mario Mazziotti – Avvocato Giuslavorista
Cristina Maroni – Avvocata Giuslavorista
Franco Boldrini – Avvocato Giuslavorista
Francesco Boldrini – Avvocato Giuslavorista
Livio Neri – Avvocato Giuslavorista
Mara Congeduti – Avvocata Giuslavorista
Maria Spanò – Avvocata Giuslavorista
Marta Lavanna – Avvocata Giuslavorista
Giorgio Sacco – Avvocato Giuslavorista
Lorenzo Venini – Avvocato Giuslavorista
Nicola Coccìa – Avvocato Giuslavorista
Alberto Ghidoni – Avvocato Giuslavorista
Dario Rossi – Avvocato Giuslavorista
Alberto Vescovini – Avvocato Giuslavorista
Gianna Baldoni – Avvocata Giuslavorista
Luciano Petronio – Avvocato Giuslavorista
Angelo Morese – Avvocato Giuslavorista
Matteo Urbinati – Avvocato Giuslavorista
Bruno Pezzarossi – Avvocato Giuslavorista
Guido Ortona – già Professore Ordinario di Economia Università del Piemonte Orientale
Massimo Padovani – Avvocato Giuslavorista
Fulvio Perini – Componente Comitato in difesa della Costituzione
Luigi De Andreis – Avvocato Giuslavorista
Edoardo Baldaro – Ricercatore universitario
Marta Capuzzo – Avvocata Giuslavorista
Valentina D'Oronzo – Avvocata Giuslavorista
Andrea Stramaccia – Avvocato Giuslavorista
Dario Rossi – Avvocato Giuslavorista
Ilaria Cappelli – Avvocata Giuslavorista
Silvia Gariboldi- Avvocata Giuslavorista
Marianna Salemme – Avvocata Giuslavorista
Laura D'Amico – Avvocata Giuslavorista
Michelangelo Salvagni – Avvocato Giuslavorista
Domenico Roccisano – Avvocato Giuslavorista
Antonio Monachetti – Avvocato Giuslavorista
Mirella Caffaratti – Avvocata Giuslavorista
Chiara Scaranari – Avvocata Giuslavorista
Giovanni Marcucci – Avvocato Giuslavorista
Giovanni Ventura – Avvocato Giuslavorista
Elena Fava – Avvocata Giuslavorista
Filippo Raffa – Avvocato Giuslavorista
Annalisa Rosiello – Avvocata Giuslavorista
Fabio Coppola – Avvocato Giuslavorista
Andrea Lassandari – Professore universitario Diritto del Lavoro
Riccardo Elia - Avvocato Giuslavorista